Si chiama Afrikki Mwinda (Luce dell'Africa, dall'unione dell'antico nome del continente con il termine 'Mwinda' che significa 'luce' in lingua "Lingala" o mangala: è una lungua parlata nella Repubblica Democratica del Congo e, precisamente dai Batu ya mangala o meglio Bangala, una popolazione bantu che vive nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Oggi il "Lingala" è una "lingua franca" (o lingua commerciale) parlata sia nella parte nordoccidentale RDC - Congo-Kinshasa sia in gran parte del RDC - Congo-Brazzaville oltre che in alcune province dell'Angola e della Repubblica Centroafricana) .
E' appena nato e promette che farà parlare di sé. Molto presto.
Si tratta de il "nuovo movimento sociale africano" lanciato, in occasione della 1° edizione dell'Università Popolare dell'Impegno Cittadino (Upec), incontro di autoformazione organizzato dagli attivisti di più di 30 paesi africani e, svoltosi dal 23 al 28 luglio a Dakar, uno dei centri nevralgici della rinnovata partecipazione giovanile che sta attraversando gran parte del Continente.
"I movimenti sociali africani, gli artisti e gli intellettuali impegnati d'Africa e delle sue diaspore hanno preso la ferma decisione di unire le loro energie, le loro voci e le loro forze per portare avanti le aspirazioni dei propri popoli alla libertà e alla dignità".
Il passaggio che avete appena letto, costituisce l'incipit del documento di 5 pagine passato di mano in mano alla fine dell'ultimo giorno d'incontri.
I volontari, giovani in maglia bianca-Upec spiegano che "è solo per i giornalisti". Eppure, in realtà di giornalisti a Dakar se ne sono visti pochi.
Peccato.
L'assenza non fa bene al cosiddetto "giornalismo di qualità" sempre molto invocato, reclamizzato ma poi, al dunque, sempre messo all'angolo, a cominciare dai grandi mass media evidentemente poco interessati a documentare, raccontare, spiegare il Continente Nero che cambia e, passo dopo passo, è sempre più cosciente che, le grandi conquiste vanno perseguite includendo, allargando la base e la "spinta dal basso" per quella partecipazione collettiva che, invece, nella "Grande Madre Terra" è ormai, un punto, irrinunciabile. Senza creare inutili divisioni ma, al contrario, percorrendo la lunga strada verso il cambiamento, tutti uniti.
Se i giornalisti avessero presenziato alle giornate della 1° edizione dell'Università Popolare dell'Impegno Cittadino, con la loro presenza avrebbero potuto documentare (specie quelli occidentali) che in Africa è in atto un interessante 'dinamismo africano' che, in qualche modo riannoda i contatti (e le linee guida) con quel 'Movimento Panafricanista'.
Forse proprio questa è la ragione dell'assenza (ingiustificata) dei giornalisti che, evidentemente, non hanno ritenuto che a Dakar vi fosse una ragione plausibile per svolgere (correttamente) il loro lavoro, ossia, informare correttamente i lettori.
Il nuovo 'dinamismo africano' per i grandi giornalisti occidentali non rappresenta (ancora) una notizia da seguire e approfondire.
-Approccio programmatico del "Nuovo Movimento sociale africano"
Il movimento ha le idee chiare sul lavoro che deve essere fatto per fare "un salto di qualità" nella partecipazione democratica e nella formazione di una società civile africana indipendente.
I leader di Afrkki Mwinda, hanno messo per iscritto - punto per punto - i nemici di tale "battaglia di emancipazione delle coscienze per una reale liberazione dal neocolonialismo".
Li elenchiamo qui di seguito:
- la burocrazia elefantiaca, anticamera della corruzione che pervade ogni strato della società;
- le multinazionali straniere che si accaparrano a suon di mazzette risorse locali e ampie fette di mercato;
- i grandi gruppi finanziari che strangolano l'economia informale;
- le ex potenze coloniali che continuano a interferire nella vita politica ed economica di paesi considerati subalterni;
- l'Unione europea occupata a fare i propri interessi (controllo dei flussi migratori ed esternalizzazione della sicurezza comunitaria, sopratutto) a scapito del reale benessere delle popolazioni africane;
- i nuovi partner economici, come gli Stati Uniti, la Turchia, la Cina, l'India, il Canada, la Corea del Sud, l'Australia e il Sudafrica, che cercano a ogni costo di scalfire i privilegi delle ex potenze coloniali per sostituirsi a esse;
- le classi dirigenti i responsabili che permettono lo sfruttamento e la militarizzazione dell'Africa sotto l'emblema della lotta al terrorismo globale.
Alla serata-evento di apertura di "Upec 2018" - il 23 luglio - nella simbolica Place Du Souvenir africain di Dakar, hanno partecipato diversi artisti, sopratutto rapper ma anche molti cantanti reggae e di musica tradizionale africana, che appoggiano apertamente i gruppi dissidenti - e di cui, qui, su questo blog ci siamo già occupati, come nel caso della crew di musicisti #7MinutsContreLeCFA, la moneta detta 'Franco africano' .
Uno degli aspetti più interessanti da registrare è il matrimonio tra attivismo politico e mondo dello spettacolo che, caratterizza, in modo unico (e vincente) il nuovo movimento africano e comincia a fare tendenza, dentro e fuori il Continente.
Emblema di questa nuova generazione di artisti impegnati è il rapper burkinabé Smockey, portavoce del movimento civile 'Balai Citoyen' che nel 2014, in Burkina Faso, attraverso un'insurrezione popolare non violenta, ha fatto cadere il dittatore Blaide Compaoré - il responsabile dell'assassinio di Thomas Sankara - e, da sempre "uomo di fiducia di Parigi" dopo 27 anni di regime.
"Sono la faccia cool del movimento", scherza (ma poi non troppo) Fadel Barro, leader del collettivo senegalese 'Y'en a marre (Ne abbiamo abbastanza)' promotore dell'Upec, prima di lasciare il palco ai musicisti.
Il concerto è gratuito e richiama la presenza di centinaia di ragazze e ragazzi accorsi ad ascoltare i loro artisti preferiti: Smockey, il senegalese Ismael Lo, il rapper maliano Master Soumy e molti altri.
A chiudere la serata è Tiken Jah Fakoy, artista di punta del reggae ivoriano, di fama internazionale che infiamma il pubblico con le parole di uno dei suoi brani più amati: "Quand nous serons unis ... ça va faire mal! (Quando saremo uniti ... farà male!)"
Attivisti e cittadini continuano a essere perseguitati, incarcerati e uccisi solo per aver espresso pubblicamente la loro opposizione (del resto è quello che accade, drammaticamente nello Zimbabwe post-voto).
Fadel ribadisce questo punto fondamentale: "unione ed unità d'intenti", solo così, gli attivisti dei movimenti che hanno partecipato a questa 1° edizione Upec sanno di poter cambiare la loro vita e quella del Continente.
Spicca la figura di Fadel Barro: l'intellettuale senegalese, smilzo e occhialuto, in compagnia dell'inseparabile berretto in testa, un passato da giornalista è considerato uno dei leader d'opinione più influenti dell'intera Africa. Prima l'ex presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, poi quello attuale Macky Sall gli hanno offerto il posto di ministro della gioventù e della cultura.
Ma Fadel ha sempre rifiutato.
"Hanno cercato di controllarci, di comprarci, di corromperci. Quando hanno capito che non eravamo intenzionati a occupare le loro poltrone, hanno cercato di intimidirci, di spaventarci, di imbavagliarci. Ma anche questa volta hanno fallito".
Il messaggio è chiaro: nessuna collaborazione con chi ha la responsabilità di condurre il Continente in fondo a un vicolo cieco, oltre il quale esiste il baratro della repressione di Stato che a volte, sa essere spietata e mortale.
-Nuove "Afriche illuminate" riprendono il cammino rivoluzionario
Le nuove "Afriche illuminate" hanno il volto di Fadel Barro, di Luc Nkulula.
L'attivista congolese è l'ultima vittima della repressione nella Repubblica Democratica del Congo, anima del movimento Lucha-Lotta per il cambiamento - il movimento di opposizione a Joseph Kabila, al potere in RDC dal 2001.
Nkulula è morto a soli 33 anni, bruciato nella sua abitazione di Goma la notte tra il 9 e il 10 giugno 2018.
Toccante il video commemorativo proiettato alla serata inaugurale Upec: Fadel Barro, i compagni di Nkulula e gli altri giovani leader dsel domani hanno assistito alle immagini tenendosi abbracciati, il pugno destro alzato, le bandiere verdi di Lucha sulle spalle.
L'intellettuale senegalese conclude il suo intervento ricordando l'incontro con Obama quando, il primo presidente statunitense afroamericano disse:
"Bisogna essere forti", quel giorno di tanti anni fa, al quartiere popolare Parlelles Assaines, Dakar.
Queste nuove Afriche illuminate hanno anche il volto dei giovani di Afrikki Mwinda che, nel silenzio dei mezzi di informazione internazionali, stanno coraggiosamente sfidando il potere costituito per riscrivere dal basso la storia della loro terra e, per questa ragione meritano di essere conosciuti al di là del mare dove ... dicono inizi il primo mondo quello civilizzato, moderno. Quello sempre nel giusto.
(Fonte.:internazionale)
Bob Fabiani
Link
-www.internazionale.it
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