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domenica 12 aprile 2020

Sudan Uprising, un anno dopo: storia e caduta di un dittatore. Pt.2







Seconda e ultima parte dello "Speciale Sudan".

Un anno dopo, il Sudan celebra l'anniversario del golpe senza scendere in piazza. Il ricordo va in scena su balconi e tetti a Khartoum.
Le forze armate del Sudan hanno bloccato le strade del centro di Khartoum - la capitale - che conducono al quartier generale dell'Esercito vietando le celebrazioni pubbliche per l'anniversario (l'11 aprile 2019 n.d.r) della destituzione dell'ex presidente Omar al-Bashir.

Le misure necessarie, dice il portavoce militare in un comunicato, per non permettere alcun tipo di raduno per non favorire il contagio da covid-19 : a oggi, il paese africano conta 19 casi accertati del virus.

I militari - al potere in un governo di transizione con una parte di esponenti civili - hanno deciso di schierare centinaia di veicoli pesanti e pickup militari, circondando così la zona.


-Trent'anni di potere

Ripercorriamo i lunghi 30 anni del regime di Omar al-Bashir con le date più importanti della storia recente del Sudan.


  • 30 giugno 1989  Colpo di stato del generale Omar al-Bashir.
  • Dicembre 1999  Al Bashir scioglie il parlamento e dichiara lo stato di emergenza. Nello stesso anno il Sudan comincia a esportare petrolio.
  • Febbraio  2003   Comincia la rivolta in Darfur, repressa da esercito e milizie locali.
  • Gennaio   2005   Accordo di pace con le regioni del sud.
  • Marzo      2009   Mandato d'arresto della Corte penale internazionale contro Al Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità in Darfur, seguito da un altro nel luglio 2010 per genocidio.
  • Febbraio  2010   Accordo di pace in Darfur.
  • Luglio       2011   Indipendenza del Sud Sudan in seguito al referendum di autodeterminazione.
  • 19 febbraio 2019 Imposizione dello stato d'emergenza dopo le proteste scoppiate a dicembre per l'aumento dei prezzi. A Khartoum la repressione causa decine di morti.
  • 11 aprile 2019    Destituzione di Al Bashir. A settembre entra in carica un governo di transizione che fissa le elezioni per il 2022.
      (Bob Fabiani)






-La caduta di un dittatore : le case fantasma (pt.2)*







Molti non furono altrettanto fortunati e dovettero affrontare la povertà o la morte. Ma mentre in Sudan si metteva in scena la politica avventuristica del governo islamista, molti esponenti delle classi ricche cercavano di non attirare l'attenzione e di non pestare i piedi a un governo sempre più mafioso.
Nelle città una nuova élite rimpiazzò quella tradizionale, laica. Questi uomini avevano perfino un'estetica precisa, una specie di ibrido tra uno sceicco e un uomo d'affari visibilmente religioso. Le barbe erano d'obbligo, tanto che fu coniata una tassonomia sarcastica: quelle più folte erano chiamate "Per i miei figli", quelle più discrete "Lasciatemi campare".

Gli uomini del regime erano ricompensati con cattedre universitarie e incarichi nei mezzi d'informazione, nell'amministrazione pubblica e nel corpo diplomatico. L'esercito fu subordinato alla volontà degli islamisti e politicizzato. Non c'erano più militari di professione, solo persone fedeli al governo. Alcuni esponenti del Fronte nazionale islamico e i loro alleati cominciarono ad accumulare ricchezze di nascosto, ma per lo più il regime governò con la paura e la repressione, invece che con la cooptazione.
Non c'erano abbastanza soldi per comprare il consenso.
L'irresponsabilità degli islamisti aveva fatto finire il paese nella lista nera dei terroristi e attirato severe sanzioni economiche. Il Sudan era diventato il parco giochi dei ricchi militanti islamici arabi in esilio. 
Osama bin Laden vi trovò rifugio quando fu espulso dall'Arabia Saudita e pagò il governo di Khartoum per ottenere terreni coltivabili. L'Fni, lacerato dai conflitti interni, cedette a una faida tra l'ala islamista e quella militarer. Fu uno scontro che Al Bashir riuscì a risolvere a suo favore schierandosi contro Al Turabi, che passò il resto della vita entrando e uscendo dal carcere fino alla morte, avvenuta nel 2016.

A poco a poco la rete allargata del governo diventò una fonte di forza. Gli alleasti del regime ricevevano incarichi che sulla carta non garantivano grossi guadagni, ma prevedevano cospicue integrazioni in cambio della lealtà politica. Il comitato centrale per l'energia elettrica, per esempio, dispensava incentivi e bonus ai dipendenti. Anche il sistema fiscale si trasformò in uno strumento di estorsione.
Qualunque transazione che richiedesse un timbro, una firma o un modulo governativo era accompagnata da tariffe sempre più creative. A un certo punto punto il governo cominciò a imporre una tassa per i martiri, teoricamente destinata a sostenere le famiglie dei soldati rimasti uccisi. Questo miscuglio di fondi illeciti ed estorsione per finanziare il regime contribuì a tenere a galla la rivoluzione della salvezza (come era stata ribattezzata dal regime di Al Bashir n.d.r), ma la sua vera strategia per sopravvivere consisteva nello schiacciare ogni dissenso con la forza, spesso mascherata da una sharia (legge islamica) strumentalizzata per fini politici.
Questa strategia del pugno di ferro durò fino a quando il Sudan scoprì il petrolio. Nel 1999 il paese cominciò a esportarlo e i ricavi garantirono al governo le risorse per costruire reti clientelari ancora più ampie. Senza quest'iniezione di liquidità il regime di Al Bashir probabilmente non sarebbe durato 20 anni. I ricavi del petrolio resero più facile la vita al governo, consentendogli di passare da un'oppressione spietata che drenava risorse a un governo basato sulla cooptazione.
L'ascesa di quelle che il giornalista della Bbc James Copnall definì "le classi medie che sorseggiano un cappuccino" gli dette nuovo slancio. Queste persone potevano permettersi di fare acquisti di lusso andando in vacanza nei paesi del golfo Persico, guidavano costose auto giapponesi e bevevano caffè nei locali alla moda di Khartoum.

In quegli anni il governo si rese responsabile di massacri e atrocità in tutto il paese, e con particolare ferocia nella regione del Darfur a partire del 2003. Furono denunciati denunciati crimini di guerra, violazioni dei diritti umani, stupri, violenze contro civili disarmati presi di mira per la loro appartenenza etnica, stragi. Queste atrocità spinsero la Cpi a incriminare Al Bashir. Ma niente di tutto questo riusciì a indebolire la morsa del governo sul paese. La sopravvivenza del regime era ormai garantita da questa nuova classe agiata, che non aveva mai goduto di tanto benessere.
Con più soldi a disposizione, il governo poteva essere generoso. Gli espatriati cominciarono a lasciare i loro lavori ben retribuiti nel golfo Persico per rientrare in Sudan. Molti di quelli che erano fuggiti dalle persecuzioni tornarono silenziosamente a casa e occuoparono posti nel settore privato e nelle nuove aziende petrolifere. I gruppi dell'opposizione all'estero interruppero le attività e alcuni dei loro leader non solo tornarono nel paese ma assunsero incarichi ministeriali. Il ricordo degli arresti e delle torture svanì tra le luci scintillanti dei nuovi ristoranti e delle sale per i matrimoni a Khartoum.

Negli anni duemila chi aveva alzato il vessillo dell'opposizione si diede freneticamente da fare per riciclarsi. In alcuni casi gli ex prigionieri sedevano a fianco di chi aveva ordinato la incarcerazione, perfino di chi aveva fatto assassinare i loro cari. Per Al Bashir offrire un buon tenore di vita si dimostrò un elemento di stabilizzazione più potente delle severe misure di sicurezza.

Ora che esisteva un nuovo collante per tenere insieme popolo e governo  - il denaro - si poteva anche fare a meno della fede. Si sviluppò  una cultura dell'ingordigia caratterizzata da un mercato consumismo e dalle case di lusso. L'ascesa di questa classe s'intrecciava anche con l'appartenenza etnica, permettendo alle etnie arabe tradizionalmente potenti di accaparrarsi privilegi mentre il resto del paese andava in fiamme.

In Sudan c'erano molte speccature etniche, non solo nel nord, ma anche tra il nord musulmano che in larga misura parlava arabo e il sud cristiano e animista. Al Bashir era occupato nella guerra con il sud del paese, che infuriava da mezzo secolo, e nel conflitto con il Darfur a ovest, dove la stima del numero di vittime oscilla tra le centomila e le 450mila. Ma mentre in quella regione la conflagrazione raggiungeva l'apice, a Khartoum il cappuccino scorreva a fiumi. Le élite non avevano intenzione d'interrompere l'orgia di acquisti sfidando il governo che con il suo clientelismo li stava arrichendo.
Con la classe media in ascesa arrivò una specie più insolita, quella dei minioligarchi cher avevano accumulato patrimoni grazie ad accordi con il governo nei settori delle infrastrutture, dell'assistenza sanitaria o dei beni dei consumo. Queste famiglie ricche da tempo, da prima del governo di Al Bashir, ora svilupparono un intenso rapporto con il regime: la posta in gioco era semplicemente troppo alta. Il malcontento residuo riguardava sopratutto l'incapacità del governo di rispettare la sua parte del patto con la borghesia, imponendo tasse e regolamentazioni eccessive.
Nel suo promemoria di un incontro con dei funzionari statunitensi, trapelato grazie a WikiLeaks, uno dei maggiori uomini d'affari sudanesi dava sfogo alla sua insoddisfazione prendendo di mira esponenti del governo che conosceva molto bene. "Gli imprenditori sudanesi devono sborsare quattrini per il regime", scrisse il funzionario statunitense in un dispaccio a Washington, "senza avere nessun controllo su come viene usato il denaro".


-Il paese resta a secco





I vent'anni di conflitto tra nord e sud del Sudan portarono finalmente a un accordo di pace e a un referendum in cui il sud votò per l'indipendenza, un risultato che Al Bashir fu costretto ad accettare. Nel 2011 il sud produttore di petrolio si staccò dando vita a un nuovo stato indipendente, il Sud Sudan, e arrivò il disastro economico. I due paesi si accordarono su come spartirsi le entrate petrolifere, ma le lotte intestine che consumavano il Sud Sudan fecero scendere la produzione e i rubinetti del nord rimasero a secco.
L'élite di Khartoum non si riscosse immediatamente dal suo stordimento consumista e non si ribellò al regime. Al contrario, diventò più protezionista e si concentrò su se stessa, mettendo al sicuro il denaro in beni materiali come le proprietà immobiliari, invece di avventurarsi in iniziative imprenditoriali che avrebbero potuto far crescere l'economia. Quando la penuria cominciò a farsi sentire, in un primo momento alimentò solo la paura verso chi era stato escluso dal bengodi: i gruppi e le etnie marginali e i poveri in generale.

Al Bashir sfruttò le divisioni etniche e di classe, facendo credere che se fosse stato destituito i conflitti nel paese avrebbero raggiuntola capitale e i suoi dintorni.
Quando, sulla scia della rivoluzione araba (ossia le "primavere arabe" come presero a descriverle i media occidentali; n.d.r), i poveri cominciarono a protestare, la retorica della rivoluzione della salvezza  - una sorta di socialismo religioso - si trasformò in un ghigno beffardo e classista rivolto a chi era al di sotto delle compiaciute classi medie. Al Bashir chiamò "disadattati" e "teppisti" i manifestanti che protestavano contro il peggioramento delle condizioni di vita, considerandoli orde che si accalcavano ai cancelli per distruggere la ricchezza e la stabilità. Funzionò. I poveri in rivolta furono massacrati nelle strade, e le organizzazioni dell'opposizione civile  - che tanto rilievo avrebbero avuto in seguito, quando il regime finalmente cadde - rimasero quasi invisibili e non molto solidali. E mentre nel 2011 crollavano i regimi dei vicdini settentrionali del Sudan  - Egitto e Libia - Al Bashir non ebbe difficoltà a conservare il potere. Le accuse della Cpi furono inglobate in un discorso di sfida agli Stati Uniti e all'occidente, rafforzando le credenziali populiste del leader.

Ci vollero alcuni anni perché gli scrigni si svuotassero, ma successe.  Man mano che il petrolio si esauriva, finiva anche il denaro necessario per oliare le reti clientelari di Al Bashir. Anche i fondi destinati alla guerra svanirono, alimentando la corruzione. E gradualmente le classi medie cambiarono l'obiettivo della loro rabbia.
Tra il 2018 e il 2019 l'economia ormai era allo stremo. Anni di sanzioni e il definitivo prosciugamento delle riserve di valuta straniera avevano rovesciato le fortune della borghesia. Ora anche quelli della classe media dovevano fare la fila per la benzina, combattere per ritirare lo stipendio e sopportare un'inflazione alle stelle. Solo chi poteva contare su grandi ricchezze riusciva a garantirsi un'adeguata assistenza sanitaria, e alcune persone che fino a poco tempo prima erano benestanti morivano per malattie più banali.

Come tante volte è accaduto nella storia delle rivoluzioni, alla fine è stato il prezzo del pane ad accendere la miccia.
Già nel 2015 James Copnall, il giornalista della Bbc, si era chiesto con preveggenza "se la borghesia di Khartoim, finora acquiescente, manifesterà il proprio scontento per il deteriorarsi della situazione".
La sua domanda ha avuto una risposta nel 2019, quando le classi medie si sono unite alle file dei bisognosi.
Questi nuovi manifestanti sostenevano di non essere preoccupati per il pane o per una cosa volgare come la fame, e preferivano parlare nella lingua più nobile della giustizia. Ma in realtà, con la penuria e l'indigenza che riguardavano strati sempre più ampi della società, le differenze di classe stavano perdendo peso. Nessuno aveva più molto da guadagnare a fare il gioco del governo e non restava niente da perdere scendendo in piazza a protestare.


-La collusione delle classi medie 





Quella di Bashir è una storia di oppressione e poi di cooptazione delle classi medie.
E' stata la loro indifferenza a permettere la persecuzione delle etnie emarginate. Nessun governo sopravvive trent'anni usando solo l'oppressione.
Per il momento, gli anni dell'acquiescenza sono stati dimenticati nell'euforia e nella temporanea solideriatà etnica e interclassista della rivoluzione. A tutt'oggi Bashir è stato chiamato a rispondere solo di accuse minori di corruzione e sta scontando una condanna scandalosamente breve in quella che di fatto è una casa di riposo.Nell'accordo di pace con i gruppi ribelli, il governo di transizione si era impegnato a consegnare il dittatore alla Cpi, ma ben presto sono cominciati i sofismi su cosa significasse "consegnare", forse per impedire che Al Bashir sia processato fuori dal paese. Ci sono troppe persone legate a lui ancora al potere. E' probabile che i piani per spedirlo all'Aja saranno ostacolati con ritardi e insabbiamenti, e che non sarà mai chiamato a rispondere delle atrocità commesse durante il suo regno.
Ma ci sono alcuni segnali promettenti: il controllo dei militari sul governo è stato indebolito grazie alla nomina di importanti esponenti della società civile; c'è un sensibile allentamento della censura sui mezzi d'informazione e delle leggi sull'ordine pubblico; sono state fissate le elezioni che potrebbero liberare il governo dai militari. E si comincia perfino a processare in tribunale chi torturò e uccise i prigionieri politici.
Eppure l'inquieta alleanza che forma il governo di transizione si ostina a rifiutare ogni responsabilità. Al suo interno, l'esercito, le forze di sicurezza e una milizia di mercenari sgomitano per il potere, ma non possono essere chiamati a rispondere del sangue versato. Oltre a questa persistente ingiustizia ce n'è un'altra che non si osa denunciare ad alta voce: la lunga e silenziosa collusione delle classi medie, che si sono mobilitate solo quando la rovina provocata dal regime è arrivata alla loro porta. Questa complicità ha permesso al regime di Al Bashir di versare il sangue di centinaia di migliaia di sudanesi in guerra e di presiedere a molte altre morti per povertà, mentre accaparrava le risorse per se stesso e per la casta dei suoi protetti.
Anche se sembra controintuitivo, il successo della rivoluzione del 2019 potrebbe dipendere dal persistere della crisi economica. Se prima delle elezioni fissate per il 2022 il governo di transizione riuscirà a garantire sufficiente benessere alla classe media, c'è il rischio che la cooptazione dell'era di Al Bashir si rinnovi e che lo sforzo rivoluzionario vada in pezzi. La forza di una dittatura è nella debolezza dei legami all'interno di una società. Dobbiamo imparare le dure lezioni del regime di Al Bashir, scrive Nesrine Malik : la trasformazione politica duratura, per cui tanti hanno dato la vita, potrà realizzarsi solo incoraggiando e preservando la solidarietà etnica e di classe in Sudan.
(Fonte.:prospectivemagazine;focusonafrica;bbc;apnews)
*Nesrine Malik è una scrittrice ed editorialista. Scrive per The Guardian
-Fine-
Bob Fabiani
Link
-www.prospectivemagazine.co.uk
-www.focusonafrica.info
-www.bbc.co.uk/news/world/africa
-www.apnews.net
       



      

4 commenti:

  1. Una storia molto interessante, anche se è abbastanza complessa. Ne emergono due fatti fondamentali; il primo è abbastanza scontato: tutto ruota attorno al denaro , in questo caso al petrolio. In secondo luogo non esiste nelle nazioni africane una classe politica in grado di affrancare la popolazione dalla corruzione e dalla violenza; da un lato ci sono grandi ricchezze, dall'altro la miseria e in questo modo non potrà mai esserci equilibrio e pace. Basta una scintilla per far scoppiare disordini e, di conseguenza, repressioni, violenze e soprusi di ogni genere.

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    1. Sono esattamente gli aspetti da te menzionati il fulcro dei problemi in Sudan come nel resto del continente.

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  2. Sono proprio gli aspetti da te menzionati il fulcro di tutti i problemi in Sudan come nel resto del continente.

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  3. Sono proprio gli aspetti da te menzionati il fulcro di tutti i problemi in Sudan come nel resto del continente.

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