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giovedì 30 luglio 2020

Albert Camus raccontato da Kamel Daoud












"Le sue parole ci suonano più
familiari di quanto non fossero 
ai suoi tempi: stranieri, mare, 
spiaggia, accecamento.
Vorremmo fosse vivo in Europa
per parlare delle pesti moderne:
la chiusura in se stessi e i muri"
(Kamel Daoud, scrittore algerino)





Intraprendere un viaggio sulle orme di Camus a Orano, in Algeria, sui luoghi della Peste e dello Straniero: AfricaLand Storie e Culture africane torna a occuparsi di Albert Camus attraverso il racconto appassionato di Kamel Daoud anche lui scrittore algerino.
(Bob Fabiani)




-"Vorremmo fossi qui"*











Fuori, Orano è illuminata da un cielo così azzurro che pare di essere nel primo giorno del mondo. All'interno dell'edificio semibuio, urtando le volte alte delle tre cupole, dei piccioni fanno risuonare un'eco nella navata oggi terribilmente vuota e sporca. Accentuano la sensazione di abbandono. In fondo alla sala, l'altare, molto degradato, sprofonda nell'ombra, attaccato da infiltrazioni d'acqua: il coro è morto da moltissimo tempo. In questo posto, né Dio né l'uomo tornano mai per incontrarsi.

E' dunque qui, a Orano, nella cattedrale del Sacro Cuore, terminata nel 1913, che Camus ha dato vita a quella scena terribile di padre Paneloux, vescovo della città, avvocato del pentimento e dell'acquiescenza dello sconfitto di fronte alla peste.







Lo scrittore lo immaginò in questi luoghi per raccontare il suo secolo con una metafora di ampio respiro. D'altronde, La peste si può rileggere ancora oggi, passeggiando per Orano, ritrovare in visione sfocate strade, piazze, qualche edificio e il mare sullo sfondo.





Tantissime cose sono cambiate dall'epoca coloniale, compresa la cattedrale, ma permane ancora, in città, quel prestigio datato di un centro storico un tempo dandy, affettato e quasi pedante nella sua beatitudine coloniale, fra il mare e il commercio dei vini.

E' invecchiato impietosamente male, a confronto del Mediterraneo che è rimasto così giovane.

Oggi la chiesa del Sacro Cuore, sporca e abbandonata, serve da biblioteca municipale, dopo la donazione dell'edificio da parte del vescovo di Orano monsignor Claverie, assassinato nell'agosto del 1996 da dei terroristi, proclamato beato un anno fa proprio a Orano. Il sagrato, sotto alle scale che salgono verso il frontone della chiesa, è un luogo di raduno per i perdigiorno della città, per quelli che vanno in cerca di sole o per i senzatetto. Un vegliardo fissa i passanti con un'espressione di crudele rimprovero. Più lontano, un ubriaco attende già il crepuscolo, infastidito dal giorno che glielo nega. Centinaia di  cicche di sigarette e bottiglie di birra rotte danno testimonianza delle notti consumate. Il posto è sporco, triste. Si direbbe che non sia stata la peste a privarlo della vita, ma il tempo. Il frontone della chiesa, rilegato di mosaici sublimi, attenua solo un poco la bruttezza del selciato.
Penetrando nella chiesa, si ritrova l'organo sulle spalle, proprio sotto l'ingresso. Ancora in piedi, come una scogliera, ma dallo strumento non esce nulla: è una tomba di tubi senza soffieria. Il pavimento è lurido, con tracce di sterco di piccione e urina, gocciolii di liquidi nauseabondi. Alcune vetrate sono rotte, altre perseverano a stemperare la luce in colori inutili. Proprio in mezzo, tra la prima e la seconda cupola, uno sgraziato lampadario metallico piomba giù dal cielo, fermandosi di botto a due metri da terra. Si distinguono delle lampadine elettriche e delle finte spade moresche come ornamento. Il pugnale nel corpo di un Dio evacuato? Un dipendente comunale osserva i turisti: vuole capire perché, alcuni di loro, esamino quelle pietre con tanta attenzione.

La deambulazione è sempre sospetta in Algeria, Paese poliziesco e diffidente.

Probabilmente i turisti stanno solo interrogandosi sulle migliaia di preghiere nate qui, divenute tanti piccioni ipovedenti proprio sopra le loro teste.







Che cosa resta della Peste, a Orano?

Senza parlare del fatto di cronaca che ispirò Camus, ma di quella che si immaginò il romanzo. Nessuna legge marziale, tutt'al più una sola, quella che vieta di lasciare liberamente la città. Al Front de Mer, la grande passeggiata sopraelevata che sovrasta il porto, si possono sempre incrociare dei giovani che guardano le navi che passano sotto i loro piedi, annotandosi gli orari di partenza e le ronde delle pattuglie: sognano di partire, attraverso il mare nella stiva o su scialuppe, non importa. La legge marziale immaginata da Camus nel suo romanzo è ancora in vigore, accentuata dalla difficoltà di ottenere un visto, di corrompere una guardia ai confini o di pagare i trafficanti clandestini. La frontiera, però, non è più quella delle porte o dei muri, ma quella del mare.

Il Mediterraneo è una pietra dura da scalare, scivolosa e spesso mortale. E' l'Everest orizzontale dei "clandestini". Ogni settimana i flutti rigettano a riva cadaveri di migranti. Li ripescano, li contano e danno la caccia ai trafficanti, ma non serva a nulla.
L'Algeria, malgrado una recente rivoluzione riuscita, non è guarita dalla peste del vuoto, della mancanza di libertà per i più giovani.
Seduto sulle scale fredde e maleodoranti della cattedrale, qualcuno scruta più in basso i passanti della piazza. Qualche albero ancora sopravvive, ma la statua descritta da Camus, una Giovanna d'Arco a cavallo, è sparita. Secondo Google, è stata rimpatriata nel 1964 a Caen, in Francia. La piazza è come il quadrante di un grande orologio. I senzatetto e i pensionati vengono qui ad ammazzare questo tempo splendido che fa in città.
Nello spirito di chi scrive ritorna questa domanda, intrigante: "Vorremmo che Camus fosse ancora vivo?".
Se conto il numero di volte che mi hanno fatto questa domanda in Occidente, il numero di volte che mi hanno interrogato su questo Antenato del verbo e della carne, penso che la risposta sia "sì".





Faremmo di tutto per vederlo tornare in Europa a evocare la peste di oggi, gli stranieri, i cadaveri sulle spiagge, i dittatori alla Caligola, tormentati da false filosofie. D'altronde, le parole di Camus oggi ci suonano più familiari di quanto non fossero ai suoi tempi: stranieri, mare, spiaggia, accecamento, flagello, eroismo e divinità inutili.
Ancora oggi mi piace tornare sui libri di questo algerino di Algeri, rivisitando i miei interrogativi e giocando a tirare fuori dei riassunti folgoranti.

Che cos'è La peste?

Un romanzo sul "cosa fare di se stessi".

Che cos'è Lo straniero?

Un romanzo sull'altra domanda fondamentale, "cosa fare dell'Altro".

Ma è un po' ridurre la magnificenza di queste narrazioni a delle domande troppo brevi.
Camus vorremmo che fosse vivo in Europa per parlarci delle pesti moderne: la chiusura in se stessi, i muri delle città e dei paesi che impediscono di arrivare o di partire, le prediche religiose che ci ingannano sul senso del dolore, l'eroismo ricondotto all'utilità del quotidiano, l'indifferenza. Il dottor Rieux, che combatte la peste perché non crede in Dio, dirà a proposito del prete Paneloux: "Non ha veduto morire abbastanza, per questo parla in nome di una verità". In modo strano, familiare, la peste comincia sempre con questo effetto subdolo: distrugge la lingua, le parole, la voglia stessa di parlare. I personaggi della Peste si battono contro un silenzio che li invade, un mutismo che tocca ogni cosa. E' così che viviamo oggi, paralizzati di fronte all'ascesa di fronte all'ascesa dei fascismi, dei populismi, degli islamismi: il flagello ci toglie le parole, incoraggia l'indecisione.
Mi perdo in parallelismi rileggendo La peste, ma sono di Orano e la mia città ci riecheggia dentro. L'attualità mi riporta ai muri, alle frontiere chiuse, all'esame delle rinunce dei miei, alla perdita di coraggio. Lascio la cattedrale e scendo verso il mare, giù in basso, verso la spiaggia gelata dell'inverno. La sabbia non ha tracce di passi, è vergine, come morta. L'inverno la lava con i venti e le onde, e nessuno ci scende per sperimentarvi la vita. Allora la spiaggia sembra quella degli albori, di isole senza nome. E' là, verso la parte est di Orano, che avvenne il fatto di cronaca dell'arabo che ispirò Camus.
Fu a Orano che ebbe l'idea dell'omicidio del secolo. Nella realtà, si trattava di una rissa con accoltellamento di un "arabo" che morirà in seguito non sotto le pallottole, ma di tubercolosi in... Francia.
Un'amica, Alice Kaplan, ricercatrice all'università di Yale, ne ha ritrovato le tracce. La spiaggia è dunque il luogo del crimine, ma non c'è il corpo. Nemmeno quello dell'autore del crimine, morto e sepolto in Francia.
Orano è scenario vuoto. Eppure è la stessa spiaggia. Quale? Quella del nostro secolo. Perché ogni epoca si sceglie una geografia per le sue metafisiche. Dopo la valle di lacrime, l'isola sconosciuta, il continente perduto, il paese ostico, il fiume orientale e la montagna inaccessibile, il XX secolo decise di eleggere la spiaggia a palcoscenico universale su cui rappresentare i personaggi dei suoi interrogativi. E' su una spiaggia che va in scena il duello dell'Alterità. Qui, Meursault uccise un arabo senza nome, per una ragione talmente futile da diventare l'emblema di un secolo di assurdità e di guerre. Ma è sulla spiaggia che si gioca il destino anche di un altro "contemporaneo": Robinson Crusoe.
E' in questo spazio che incontrò Venerdì e stabilì che era un selvaggio. E' sulla spiaggia anche che cerchiamo l'immortalità in quanto vacanzieri, o che torniamo a vestire i panni di Meursault, di tanti Meursault, così indifferenti di fronte ai cadaveri dei migranti annegati.

Sulla spiaggia, ci contestiamo il velo e la nudità.

Vorrei anche che Camus tornasse in Algeria: ci guarirebbe dal rifiuto dell'Altro e dai processi degli stranieri, dal culto della vendetta e del postcolonialismo come rifugio di comodo. Il mio Paese sprofonda nella paranoia e nel rifiuto dell'alterità in nome dell'identità. Un uomo così esigente potrà provargli che c'è vita oltre il sospetto.
Mi avvicino ai flutti. E' la cosa che più mi piace, questo incontro, nel brivido, fra la mia nudità e il mare senza ombelico. E' una forma di preghiera barbara, gravida di precauzioni. Qui, nel vuoto, non c'è il peso delle mie convenzioni. C'è la mia pelle e la legge della gravità e dell'orizzonte.
Camus ha saputo vivere e farlo leggere.
Di lui conservo la scoperta più ricca: l'"inesplicabilità" del mondo. E così stabilisco anch'io qual è il senso del mondo, al posto degli dei e della paura.
*Kamel Daoud, è un'autore algerino, nato a Mesra nel 1970. Scrive per Le Quotidien d'Oran. Il suo romanzo d'esordio del 2013, Il caso Meursault (Bompiani), riprende la storia de Lo straniero di Camus dal punto di vista del fratello dell'arabo ucciso da Meursault. Il libro, tradotto in 30 lingue, ha vinto il Goncourt. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Zabor o i salmi (La nave di Teseo, 2019)
(Fonte.:lequotidien-oran)
Bob Fabiani
Link
-www.lequotidien-oran.com       

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