Nel '600, in quella che si chiamerà Città del Capo (Cape Town), in Sudafrica, ci sono due uomini Autshumao e Jan van Riebeeck: uno nero, un khoi, e uno bianco, un olandese. Il primo, un re, con esperienza addirittura a Giava, dove aveva aveva imparato l'inglese, tornato a casa nel 1652 aveva fatto conoscenza con il nuovo venuto e i suoi cacciatori di oro e avorio.
Autshumao, che per la sua pacifica gente faceva da interprete con l'olandese, non aveva intuito la trasformazione che si stava verificando in Africa.
Dopo averlo bandito e chiamato Herri, perché Autshumao agli olandesi non riusciva di dirlo, van Riebeek lo accusò ingiustamente e lo gettò in galera a Robben Island - neanche a farlo apposta come Mandela tre secoli dopo.
Scoppiò la guerra, la prima di molte vinte dai bianchi. E i khoi e Herri, vennero spazzati via.
Ma oggi Autshumao viene riabilitato con un gioiello dedicato ad arte, musica e la cultura. Si chiama herri ed è una rivista online che si occupa di "decolinizzazione nell'era di internet".
Senza essere per nulla accademica, Herri scardina temi calissici del mito del "buon selvaggio" con articoli e poesie che mescolano l'inglese e le lingue xhosa, zulu e afrikaans: perché in un paese che ha a che fare con undici idiomi la lingua conta, come hanno spiegato le lotte contro l'apartheid, e come dimostra anche l'inizio di questa storia, quella di "Herri" Autshumao.
(Fonte.:herri;theconversation)
Bob Fabiani
-herri.org.za
-www.theconversation.com
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