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martedì 14 luglio 2020

Covid-19, corsa al vaccino (tutti contro tutti)










Mentre il mondo è alle prese con la peggiore crisi sanitaria globale, a causa del virus da coronavirus, la corsa al vaccino ha scatenato una vera e propria battaglia: si è assistito, nelle settimane scorse e nei mesi passati, a uno scontro senza esclusioni di colpi. Sono tutti contro tutti dove, a farla da padrone è stato (e lo è tuttora) l'egoismo tra Stati (naturalmente quelli ricchi dell'occidente).
Per trovare la formula magica i governi stanno finanziando lo sviluppo a colpi di miliardi per garantirsi le scorte. In questa speciale battaglia, l'America - guidata da Trump - è in vantaggio su tutti (come vedremo durante questa inchiesta).

L'obiettivo di tutti è ovviamente quello di trovare un rimedio contro il Covid-19 e distribuirlo a tutti. ... ma siamo sicuri che sarà veramente così?
Tutto lascia pensare che la realtà è ben diversa: a impedire che venga distribuito a tutti nei quattro angoli del Pianeta potrebbero essere gli egoismi nazionali. E ne farebbero le spese i paesi poveri.

AfricaLand Storie e Culture africane in questa inchiesta (ricostruita con una accurata e approfondita "ricerca" con i migliori siti internazionali) cercherà di fare luce su quanto sta avvenendo.


-La corsa al vaccino






All'epoca della pandemia A/ H1 N1  del 2009, la cosiddetta influenza o febbre suina, alcuni dei paesi più ricchi del mondo cercarono in ogni modo di accaparrarsi un vaccino. Mentre i governi occidentali firmavano accordi con le case farmaceutiche, i paesi poveri, tra i più colpiti dalla malattia, finirono in fondo alla fila. Il governo australiano impedì addirittura a un produttore di esportare il vaccino negli Stati Uniti fino a quando l'intera popolazione del paese non fosse stata immunizzata. L'amministrazione statunitense guidata allora da Barack Obama rimandò l'impegno di donare dei vaccini ai paesi poveri per dare la priorità alla distribuzione all'interno del paese. La febbre suina, alla fine, provocò 18mila morti accertate, ma secondo uno studio le vittime potrebbero essere state 575mila. Un numero "sproporzionato" di morti fu registrato in Africa e nel Sudest asiatico. Molti esperti ritengono che il caso della febbre suina possa darci un'idea delle conseguenze della crisi sanitaria attuale, i cui effetti sono disastrosi a livello globale. Il bilancio ufficiale, aggiornato al 14 luglio parla di oltre 13 milioni di contagi e, ad oggi i decessi nel mondo sono 573.042. Oltre ai numeri da brividi, il virus da coronavirus, ha prodotto una paralisi delle economie di tutto il mondo.
Il timore è che la pandemia di Covid-19 possa sfociare in un conflitto geopolitico sui vaccini ancora più disastroso di quello emerso con la febbre suina.

Suscitano preoccupazioni sia la rivalità crescente tra gli Stati Uniti e la Cina sia la corrispondente ascesa del nazionalismo e il declino del multilateralismo, confermati dalla minaccia del presidente statunitense Donald Trump di tagliare (in modo definitivo a partire dal 2021 n.d.t) i fondi all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

"Alcuni fattori rendono questa crisi più complicata rispetto a quelle del passato. La pandemia rischia di allargare le fratture politiche ed economiche nascoste", spiega Stuart Blume, professore di scienza e tecnologia dell'università di Amsterdam. "Non siamo nelle condizioni di affrontare una sfida globale".

La ricerca del vaccino  - che secondo molti esperti non arriverà prima di un anno o un anno e mezzo - è fondamentale per far ripartire l'economia globale. Ma, come per la febbre suina, c'è il rischio che i governi agiscano tutelando unicamente i propri interessi invece di adottare una strategia più collaborativa.
Attualmente sono in fase di sperimentazione preclinica più di 100 vaccini. Per produrre e distribuire su scala mondiale il vaccino serviranno decine di miliardi di dollari e l'uso di tecnologie complesse. I paesi europei e l'OMS stanno cercando di tenere viva l'opzione multilaterale, con una serie di vertici per raccogliere fondi, ma i governi di Cina e Stati Uniti non sembrano intenzionati a impegnarsi e preferiscono preparare le strutture militari, farmaceutiche e biotecnologiche per quella che molti considerano una lotta per il prestigioso nazionale.

"La corsa al vaccino è un po' come la corsa allo spazio tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica", sottolinea Brad Loncar, fondatore della Loncar Investment, un'azienda statunitense che gestisce un fondo azionario incentrato sulle società farmaceutiche cinesi. "E' una specie di guerra fredda".

Pechino e Washington stanno investendo enormi risorse per arrivare a un vaccino in tempi record. Trump ha lanciato l'operazione Warp speed, velocità di curvatura, una collaborazione tra il settore pubblico e quello privato. Secondo uno scienziato che collabora con il governo ed è coinvolto nel progetto, l'obiettivo dell'iniziativa è produrre milioni di dosi da distribuire negli Stati Uniti entro la fine dell'anno (ossia a ridosso delle Presidenziali 2020 che si terranno a novembre).
Secondo Scott Gottlieb, commissario della Food and drug administration (Fda) statunitense dal 2017 al 2019, la febbre suina ha dimostrato quanto sia irrealizzabile l'idea "utopica" di donare il vaccino ad altri paesi prima di soddisfare le necessità interne.

"E' importante che gli Stati Uniti possano usare un vaccino prodotto da loro. La storia ci insegna che durante le emergenze sanitarie i governi tendono a nazionalizzare le risorse".

In Cina la corsa al vaccino è altrettanto frenetica. Secondo l'OMS, al momento sono in fase di sperimentazione clinica 8 vaccini, di cui la metà viene dalla Cina. Degli altri 4, due sono prodotti negli Stati Uniti, uno è il frutto di una collaborazione tra la tedesca BioNTech, la statunitense Pfizer e la cinese Fosun Pharma, mentre l'ultimo è allo studio all'università di Oxford con la casa farmaceutica britannica AstraZeneca.

"Per le autorità cinesi la ricerca di un vaccino non è solo una questione di orgoglio nazionale e sanità, ma anche un modo per manifestare la propria superiorità", spiega Loncar.

Uno dei fondi di Loncar ha investito nella Cansino Biologics, la prima azienda biotecnologica cinese ad aver portato il suo vaccino alla "fase due" della sperimentazione umana, in collaborazione con un ramo dell'Esercito popolare di liberazione. Secondo i mezzi d'informazione locale, Weidong Yin, amministratore delegato della Sinovac, un'altra azienda cinese che sta sperimentando un vaccino, ha annunciato che entro luglio sarà completata la "fase due" e si potrà procedere alla produzione.

"Se la Cina ottenesse il vaccino quattro mesi prima degli Stati Uniti", sottolinea Loncar, "potrebbe portare la sua economia a pieno regime in anticipo sugli altri. Per non parlare degli effetti sulle elezioni presidenziali statunitensi di novembre. Immaginate i titoli dei giornali: 'I cinesi vengono vaccinati, mentre gli americani devono ancora aspettare' " .

Secondo Gottlieb, la Cina potrebbe effettivamente arrivare prima "a iniettare qualcosa", ma non sembra "interessata a produrre il vaccino migliore".
L'ex commissario della Fda è convinto che saranno necessari diversi vaccini prodotti in varie parti del mondo.

"Se avremo molti produttori sarà tutto più facile. Al contrario, la situazione sarebbe molto più complessa se ci ritrovassimo solo con uno o due produttori".

Molti esperti concordano sul fatto che sia sbagliato concentrarsi sull'obiettivo di arrivare primi.

"E' un processo di portata globale. Nessun paese può affrontarlo da solo, perché nessuno ha sufficienti strutture per farlo e c'è il rischio di esaurire le fiale di vetro e i principi attivi", spiega Kalipso Chalkidou, direttore del settore sanitario del Center for global development di Washington. "Bisogna tracciare la rotta in corso d'opera conclude".





Quello che è successo nei primi giorni della pandemia di Covid-19 alimenta le paure di molti esperti sulla distribuzione del vaccino. In quella fase i dispositivi di protezione come camici e mascherine sono state al centro di diverse schermaglie. Quando le mascherine prodotte dalla 3M e destinate alle forze di polizia di Berlino sono state intercettate e deviate verso gli Stati Uniti, alcuni politici tedeschi hanno accusato Washington di "pirateria moderna".

Anche nell'Unione europea non sono mancati i problemi. Il governo francese, per esempio, ha sequestrato milioni di mascherine di proprietà di un'azienda svedese, provocando forti proteste. Il caso delle CureVac, azienda biofarmaceutica tedesca che sta sviluppando un potenziale vaccino contro il Covid-19, ha prodotto uno scontro ancora più acceso. Secondo i mezzi d'informazione tedeschi, a marzo il governo americano avrebbe tentato di comprare l'azienda dopo un incontro tra l'amministratore delegato Daniel Menichella e Donald Trump alla Casa Bianca.
La vicenda ha scatenato la rabbia di Berlino.

"La Germania non è in vendita", ha tuonato il ministro dell'economia Peter Altmaier. I vertici dell'azienda hanno negato qualsiasi proposta dell'amministrazione Trump, ma l'azionista di maggioranza della CureVac, Dietmar Hopp, non ha smentito le indiscrezioni. Menichella, nel frattempo, ha lasciato l'azienda.

"E' impensabile che un'azienda tedesca sviluppi un vaccino per un uso esclusivo negli Stati Uniti", ha dichiarato Hopp.

Secondo Blume, una delle tendenze più preoccupanti degli ultimi decenni è la "securizzazione della sanità globale", diventata sempre più spesso competenza della sicurezza nazionale e della diplomazia internazionale. Il docente sottolinea che Pechino potrebbe usare il vaccino come strumento per "manifestare il suo prestigio nel mondo" donandolo ai paesi dell'Africa e dell'America Latina.

"Sappiamo benissimo che la cooperazione internazionale sarà indispensabile per sviluppare e distribuire il vaccino", sottolinea un importante funzionario europeo.

"La Cina avrà un ruolo cruciale, e lo stesso vale per gli Stati Uniti. Senza il loro contributo sarà difficile avere successo".



-Tutti contro tutti (il nazionalismo del vaccino)


I governi che si ritrovano in una posizione di vantaggio in questa battaglia, hanno già alzato muri. Il ministro della salute britannico, Matt Hancock, lo scorso 23 aprile dichiarava che "per qualunque vaccino prodotto nel Regno Unito, i cittadini britannici devono essere i primi della fila", facendo riferimento alla sperimentazione sugli uomini iniziata lo stesso giorno dallo Jenner Institute per l'università di Oxford, a cui partecipa anche l'azienda Irbm di Pomezia, in Italia. Il brevetto poi apparterrà solo alla società britannica che potrà decidere cosa farne (anche se il ministro della sanità italiana, Roberto Speranza, recentemente ha dichiarato di averne già prenotate alcune milioni di fiale...).

La battaglia è aspra: Cina contro Stati Uniti, singoli Stati che pensano prima ai loro cittadini mentre sullo sfondo si profila una delle più grandi ingiustizie di sempre e ne farebbero le spese i paesi più poveri.






-Caso Covid e il tradimento di Sanofi


Da anni la ricerca è in mano privata, il pubblico non viene più finanziato e cerca altrove i fondi. Ora che la battaglia è stata lanciata e divampa il far-west, i laboratori USA saranno liberi di stabilire il prezzo dei farmaci: è Big Pharma a dettare le regole.

Erano altri tempi, un altro mondo: nel 1954, Jonas Salk, il ricercatore americano che aveva scoperto il vaccino contro la poliomielite, annunciò che rinunciava al brevetto in nome della salvezza dell'umanità.

"Si può forse brevettare il sole?", aveva risposto ai giornalisti sorpresi che rinunciasse a una tale fortuna. "Penso che la conoscenza biologica fornisca analogie utili per comprendere la natura umana. Le persone pensano alla biologia in termini di questioni pratiche come i farmaci, ma il suo contributo alla conoscenza dei sistemi viventi e di noi stessi sarà altrettanto importante in futuro. E' molto più importante cooperare e collaborare. Siamo coautori, insieme alla natura, del nostro destino", aveva spiegato in seguito. Di fronte alle parole di Jonas Salk, le dichiarazioni del direttore di Sanofi, Paul Hudson, che su Bloomberg ha annunciato che, in caso di scoperta del vaccino contro il Covid-19, avrebbe riservato le prime dosi agli Stati Uniti, illustrano l'abisso che ci separa dai valori della medicina e dell'università del passato. Non è più questione di collaborazione, di conoscenza condivisa, né di bene comune.

Da decenni ormai la salute è diventata un business. Le Big Pharma, le grandi multinazionali del farmaco che dominano il settore, non si fanno più scrupoli a brevettare ciò che madre natura ha creato. Brevetterebbero pure il sole se fosse consentito. Con il Covid-19 questi sviluppi assumono una dimensione ancora più agghiacciante. A fine aprile, l'Assemblea delle Nazioni Unite ha adottato una dichiarazione per chiedere la massima cooperazione internazionale nella lotta contro la pandemia, inclusa l'universalità del vaccino.

Come abbiamo visto in questa inchiesta, la Cina e gli Stati Uniti hanno deciso diversamente: secondo loro, le cose sarebbero andate diversamente: vaccini, test, farmaci, e tutto ciò che può contribuire a combattere la pandemia, sono finiti al centro di una lotta tra potenze.
Come se tutto ciò non bastasse, molti hanno ceduto ai laboratori USA e ai loro miliardi, consapevoli che per loro ci sono in prospettiva miliardi di profitti; se dovessero scoprire il vaccino, i laboratori saranno infatti liberi di stabilirne il prezzo, dal momento che i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti non sono sottoposti ad alcuna regolamentazione. E' in questo contesto che Sanofi si è associato con il concorrente GlaxoSmithKline in un progetto finanziato dagli Stati Uniti per sviluppare un vaccino anti-Covid e, in caso di riuscita, produrne 600 milioni di dosi all'anno, almeno all'inizio.

"Il governo americano ha il diritto di ricevere per primo i vaccini perché ha investito e preso un rischio", ha spiegato a Bloomberg.

Le reazioni sono state numerose.

"Nessuno deve essere lasciato indietro a causa di dove vive o di quanto guadagna", il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.

In Francia, l'Osservatorio per la trasparenza delle politiche sul farmaco ha denunciato: "Da parte di Sanofi si tratta, né più né meno, di un ricatto per ottenere maggiori sovvenzioni pubbliche".

Da notare che la Sanofi è un'azienda francese ma questo non ha impedito ai responsabili di ricattare sia il governo francese sia l'istituzione dell'Unione europea: il senso della condotta di Sanofi è il seguente: "volete le dosi, allora tirate fuori i soldi e offrite di più di quanto stanziato dagli americani", con buona pace dei beni comuni.

-Lezioni e conclusioni

La crisi insegna che la salute non è un prodotto commerciale, ma un bene comune. Ma nessuno se ne preoccupa. Tutti sono impegnati in una lotta di tutti contro tutti: un business vale l'altro e quello della salute vale molto più di altri.
(Fonte.:ft;theatlantic;mediapart;theguardian;publico;investigate-europe;bloomberg)
Bob Fabiani
Link
-www.ft.com
-www.theatlantic.com
-www.mediapart.fr
-www.theguardian.com
-www.publico.com
-www.investigate-europe.eu
-www.bloomberg.com
-www



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