Sono trascorsi sette anni (era il 3 luglio 2013 n.d.t) dal golpe con cui l'allora generale al-Sisi ha imposto all'Egitto un regime ancora più brutale di quello di Mubarak.
Sette anni in cui lo Stato si è asservito all'esercito, nuova élite economica e politica, mentre crescono povertà e repressione politica.
-L'Egitto schiavo dell'esercito
I sette anni dal golpe dell'allora generale Abdel Fattah al-Sisi sono stati segnati dalle prime riaperture: l'aeroporto del Cairo giovedì scorso ha visto partire e atterrare 113 voli, interni e internazionali, e cinque musei e otto siti archeologici, tra cui le piramidi di Giza, hanno accolto i turisti. Eppure l'epidemia di Covid-19 balza in avanti: l'ultimo dato, reso pubblico dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) parla di oltre 74 mila casi, mentre i decessi superano ormai le 3 mila persone registrate. Il sistema sanitario, lo hanno denunciato medici e infermieri pagando con licenziamenti e detenzioni, è al collasso, vittima di anni di tagli e noncuranza.
Naturalmente, di tutto questo le celebrazioni del governo per quella che chiama "la rivoluzione del 30 giugno" non tengono conto. Il riferimento è alle proteste dell'estate del 2013 che vide protagonisti gli stessi egiziani che due anni e mezzo prima avevano riempito piazza Tahrir e fatto cadere il trentennale regime di Hosni Mubarak.
Qualche giorno dopo, il 3 luglio, l'allora ministro della Difesa al-Sisi assumeva il potere destituendo il primo presidente democraticamente eletto d'Egitto, Mohammed Morsi. All'epoca si festeggiò, lo fece anche la sinistra egiziana: Morsi e la sua Fratellanza Musulmana avevano tradito la Rivoluzione del 2011 con leggi liberticide.
I festeggiamenti durarono poco, un mese dopo il massacro di sostenitori dei Fratelli Musulmani in piazza Rabaa svelava i tratti del nuovo regime.
Le celebrazioni mediatiche di questi giorni non tengono conto nemmeno - com'è ovvio - dell'ultimo schiaffo in faccia a Patrik Zaki, lo studente dell'Università di Bologna incarcerata dal 7 febbraio scorso. Il 28 giugno sarebbe dovuto comparire davanti alla Corte penale per i reati minori perché un giudice decidesse dell'ormai lunghissima detenzione cautelare a cui è sottoposto:
"L'udienza doveva essere tenuta davanti a un giudice per la prima volta - riporta la pagina Facebook "Patrick Libero" - La sessione è stata rinviata, ancora una volta, al 12 luglio".
Senza avvocati presenti.
Intanto le Tv e i giornali, filo-governativi (al-Sisi ha imbavagliato la stampa e messo al bando circa 60 siti di informazione indipendente), celebravano i mega progetti infrastrutturali, dall'allargamento di Suez a New Cairo, e le vittorie sul terrorismo, categoria, i cui confini sono stati allargati a dismisura con leggi apposite che puniscono chiunque critichi il regime.
In televisione e in radio scorrono senza soluzione di continuità i messaggi di esaltazione della "gloriosa rivoluzione", mentre i talk show invitano estimatori del regime a incensarne l'operato.
Ma la realtà è ben differente.
Dal quadro scompaiono le reali "missions accomplished" ("missioni compiute") del più brutale governo che gli egiziani abbiano mai sperimentato: 19 nuove prigioni costruite dal 2013; 60 mila prigionieri politici su una popolazione carceraria di 140 mila unità con istituiti di pena sovraffollati, tra il 160% e il 300% in più della loro capacità (13 i detenuti morti a giugno per mancanza di cure mediche, secondo il centro Al-Nadim); tre egiziani su dieci sotto la soglia di povertà e altrettanti appena sopra; spese folli per progetti infrastrutturali e armi coperte con i prestiti del Fmi, condizionati a riforme lacrime e sangue che hanno fatto scomparire la classe media; un debito pubblico triplicato, da 112 miliardi di dollari del 2014 agli attuali 321.
Il popolo è impoverito con aumenti di tasse e tagli dei sussidi per i più poveri, mentre l'élite si arricchisce. Un'élite che coincide con la galassia di potere che tiene al suo posto il presidente al-Sisi: l'esercito e i servizi segreti. Da esponente delle forze armate e privo di un partito proprio, al-Sisi lavora alacremente da sette anni, e con successo, alla creazione di un sistema militare in senso sia politico che economico: l'Egitto è oggi uno Stato al servizio del suo esercito.
Se la fetta di economia interna controllata dalle forze armate è costantemente cresciuta - attestandosi, secondo stime, a un 40% di Pil - si moltiplicano gli appalti affidati direttamente alle ditte dell'esercito, senza che un controllo indipendente ne freni l'avanzata a tutela dei privati. E mentre vedono crescere, grazie allo shopping di armi, la loro potenza di fuoco, i militari godono di un sistema giuridico che permette un controllo sociale pressoché titale, un groviglio di leggi anti-sciopero e anti-dissenso che fa il paio con la tradizionale macchina dello spionaggio interno. E che tiene l'Egitto in prigione.
(Fonte.:jeuneafrique;bbcafrica;ilmanifesto)
Bob Fabiani
Link
-www.jeuneafrique.com
-www.bbc.com/africa/egypt
-www.ilmanifesto.it
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