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mercoledì 3 giugno 2020

Le voci della protesta black in America dopo la morte di George Floyd





"Il razzismo è polvere nell'aria, invisibile anche quando ti sta soffocando fino a quando non lasci che entri il sole. E' un virus più mortale del Covid-19"
(Karem-Abdul-Jabbar, migliore realizzatore nella storia Nba)



-La situazione


Negli USA in fiamme tiene banco la "trovata" di Trump alla Casa Bianca. Il presidente scortato da polizia e militari, mentre gli agenti caricavano (brutalmente) la folla in protesta, inerme, di fronte al palazzo presidenziale, si è recato nella Cappella dove, bibbia alla mano, lancia l'ennesimo messaggio incendiario, intriso di minacce - assolutamente fuori luogo per un presidente - alle migliaia di persone che da giorni sono in rivolta contro il razzismo e le disuguaglianze sociali.





Intanto la protesta non si ferma, tra arresti e pestaggi indiscriminati, mentre sullo sfondo aleggia il ricorso all'esercito da parte di #TheDonald che, nel presentarsi all'incontro - messo in piedi in fretta e in furia, convocato via Twitter - con i giornalisti, fatti accomodare, a distanza di sicurezza nel Giardino delle rose ha esordito con queste parole: "Sono il presidente di ordine e legge. Le proteste adesso finiranno. Ho mobilitato migliaia di soldati e invocato l'Insurrection act del 1807, adesso vediamo chi vince".

Fin qui la cronaca e le disarmanti, incredibili parole del "presidentissimo" . Ma quale sono le "voci dentro il movimento"? Quali parole, idee e visioni sono venute fuori in questa settimana di rivolta?
A queste domande, AfricaLand Storie e Culture africane cercherà di dare risposte esaurienti, in questo post.


Le voci degli attivisti






Le manifestazioni che si stanno svolgendo in tutti gli Stati Uniti hanno cancellato di colpo la presenza di un'emergenza sanitaria dovuta al coronavirus.

"Tecnicamente New York City sarebbe in lockdown fino all'8 giugno quando dovrebbe cautamente cominciare a ripartire  - dice Steven, medico anestesista 62enne che lavora al Bellevue Hospital di New York, uno degli ospedali divenuti simbolo della lotta contro la pandemia - Da attivista sento e capisco l'urgenza di scendere in piazza e manifestare, da medico sono disperato. Non riesco a immaginare niente di peggio per la diffusione del virus. Ho scritto delle linee guida per un volantino che è stato distribuito durante la manifestazione a Brooklyn ma era ridicolo. Come fai a dire a i manifestanti di ricordarsi di rispettare la distanza sociale, tenere la mascherina, pulirsi sempre le mani e non toccarsi la faccia? Dobbiamo anche assumere che le persone che sono in piazza vivano tutte insieme fra di loro o da sole. Una rivolta durante la pandemia non è quello che ci si augura da medici".

Un'altra voce è quella della studentessa Meg, 23 anni della Columbia University:

"Prima di andare al Barcley Center dove c'era il concentramento della manifestazione ci ho pensato a lungo. So che c'è una pandemia, ma c'è anche il virus del razzismo da combattere. Per il virus non posso fare niente, per il razzismo invece si. Purtroppo le modalità di lotta di queste due malattie sono in contrapposizione, una richiede di essere passivi a casa, l'altra di essere proattivi e di andare in strada, e ho deciso di combattere il virus più letale".

Il Covid-19 negli USA sta colpendo la comunità afroamericana in modo più violento rispetto a quella bianca e le ragioni come ha sottolineato anche Anthony Fauci, sono socio-economiche. Gli afroamericani hanno spesso condizioni persistenti come diabete o problemi cardiaci, dovuti a peggiori condizioni sanitarie e alimentari.

Questa ondata di proteste  - come abbiamo scritto nei giorni scorsi su queste pagine virtuali - che riguarda principalmente la comunità black va a sovrapporsi a un'architettura già traballante.

"Vivo nel Bronx con i miei 3 fratelli mia madre e una zia  - spiega Emily 27enne afroamericana - per questo resterò un po' di tempo a casa della mia ragazza perché anche lei è un'attivista e andiamo a manifestare insieme. I primi a non mettersi la mascherina sono i poliziotti, ma questo sarebbe il meno, come fai a scappare da una carica stando distanziati?".

Una delle differenze di questa ondata di proteste per i diritti civili degli adroamericani è la presenza dei bianchi.

"Da quando Black Lives Matter è cominciato - spiega Briana attivista 36enne newyorkese gli attivisti bianchi chiedevano come fare per aiutare questo movimento. Quello che rispondevamo era ed è di usare i loro privilegi per questa causa, di fare ciò che noi non possiamo fare. E si vede che sta funzionando. A Minneapolis i bianchi fanno cordone intorno ai neri per proteggerli dalla polizia. Un poliziotto ci pensa due volte prima di picchiare un bianco. Ora poi c'è anche la crisi economica che ci fa un po' più uguali, il capitalismo alimenta il razzismo e disparità sociale"-

Nelle strade si vedono persone di tutte le età ma in special modo giovani e questo lascia ben sperare, anche se Trump ha minacciato di stanare e stroncare (in modo deciso) la rivolta con l'esercito.

-Adama Delphine Fawundu, fotografa afroamericana che si batte per i diritti civili 




Adama Delphine Fawundu, è nata a New York (Brooklyn) nel 1971, figlia di genitori originari della Guinea Equatoriale (da parte di madre) e della Sierra Leone (per parte paterna). E' la prima fotografa nera a varcare la soglia dei musei USA, con scatti per l'emancipazione etnica e di genere.

Dopo il drammatico assassinio di George Floyd come tutta la comunità nera è attiva nel far sentire la voce della comunità black.

"La storia è sempre la stessa , accade over and over again, ancora ed ancora: noi neri moriamo in una patria che non ha mai fatto veramente i conti con la sua storia violenta. Persone di colore, disarmate ed innocenti, finiscono morte tra le braccia dei poliziotti di cui ora si ha paura se cammini per strada: questo è un paese psicotipo, dove si può premere sul petto nero di un uomo finché muore ... In decina di Stati chiedono rispetto e diritti per la comunità nera ragazzi che alla Casa Bianca a lettere cubitali sono stati chiamati canaglie da un presidente il cui nome non voglio nemmeno pronunciare. ... Lui sdogana la violenza, fa pensare che quello che sia successo a Floyd sia ok. Non sarà un capo di Stato a cambiare tutto questo, si tratta della fondazione di questo paese, fino a qualche decennio fa era normale non trattare gli afroamericani come esseri umani. Il razzismo è sempre stato qui: congenito, sistematico, istituzionalizzato".

Adama nel suo ragionamento non dimentica la storia.

"Certi americani spedivano ai loro familiari cartoline delle domeniche di festa dove gli schiavi pendevano dagli alberi mentre loro facevano il barbecue. Abbiamo sentito tutti quello slogan 'Make America Great again", ma quando e, sopratutto, per chi è stato grande questo paese? Per quelli che pendevano dagli alberi?".

Adama sa che nella storia la fotografia è stata usata "per renderci disumani, giustificare colonialismo e schiavitù ... Nel mio lavoro ho scelto, attraverso la fotografia, di lavorare in direzione contraria, fortificare l'eredità del continente ancestrale, l'Africa ... Sin dall'infanzia percepivo un'identità profonda in casa, a scuola però mi insegnavano il contrario: venivamo da terre di cannibali e selvaggi. Lo stesso leggevo nei media, anche i più affidabili o patinati ... E il passaggio seguente è stato quello di partire per l'Africa, in questo viaggio volevo guardare il mondo con altri occhi, sentire un'altra versione della storia, non sentirmi più folle".

Quando è tornata in America e più tardi quando ha iniziato a insegnare alle scuole pubbliche USA, non ha fatto altro che insegnare quell'identità, quella fierezza, quell'unicità di essere discendenti dagli antichi schiavi un tempo portati da queste parti (in USA n.d.t) con la forza. E' importante il lavoro di insegnante di Adama perché, in questo modo aiuta studenti schiacciati nell'ingranaggio di un sistema educativo che li schiaccia e li umilia: attraverso le sue lezioni, questi ragazzi imparano che ciò che loro viene detto è un falso storico.

"Ai ragazzini di discendenza africana o latina insegnano di non valere abbastanza. ... La mia pelle pelle è nera, i miei capelli lanosi, la mia schiena forte abbastanza da sopportare il dolore".

Si tratta della prima strofa di una canzone di Nina Simone che Aadama ha inserito in un lavoro molto importante, intitolato "Deconstructing-She", una serie di scatti dedicati alla discriminazione doppia vissuta se "nasci donna e nera in America".

Infine sposta i suoi ragionamenti guardando due foto divenute virali nel mondo: al centro dell'inquadratura di entrambe ci sono ginocchia: quella della divisa che ha ammazzato George Floyd, poi quelle piegate di Colin Kaepernck sul campo della lega baseball USA. L'atleta nel 2017 si rifiutò di onorare lo Stato great solo per pochi.

"Un paese dove costituisce crimine inginocchiarsi durante l'inno, ma non lo è farlo sul petto di un uomo di colore finché muore".

Per questa ragione tutta l'America brucia da una settimana: sempre più americani hanno ritenuto che la morte assurda e violenta di George Floyd fosse troppo; impossibile dall'essere ancora una volta tollerata.
E' iniziata così la rivolta anti-razzista per cambiare radicalmente il paese, con buona pace di Trump che sogna di fare piazza pulita con gli squadroni dell'esercito.
(Fonte.:nyt;tjeatlantic)
Bob Fabiani
Link
-www.nytimes.com
-www.theatlantic.com             


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