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martedì 2 giugno 2020

#USAonFire (#GeorgeFloydProtest)






"Se volete che ci comportiamo meglio allora, cazzo, comportatevi meglio voi"
(Tamika Mallory, tra le principali organizzatrici della #MarciadelleDonne 2017



E' appena trascorsa la settima notte di rivolta consecutiva negli Stati Uniti e la situazione diventa sempre più complessa e incendiaria.
Sono due gli aspetti salienti delle ultime 24 ore che fotografano un'America sull'orlo del baratro.
Procediamo con ordine.
Nel tardo pomeriggio americano, dopo, la richiesta della Famiglia Floyd, è arrivato il responso dell'autopsia indipendente.

"Il decesso di George Floyd, 46enne di Minneapolis, è morto soffocato per 'per soffocamento'". 

Questo responso, per il momento, rende una parziale giustizia smentendo in modo netto quella del Hennepin Country Medical Examiner che escludeva il decesso di asfissia traumatica per strangolamento.
Evidentemente questa è la stella polare che sta alla base delle rivolte divampate in modo drammatico e disperato - come non si vedevano almeno da più di mezzo secolo - in questa America ancorata sempre più in modo netto, alla questione delle questioni: il razzismo. L'odio razziale che è il fulcro e la spinta identitaria dei #WhiteSupremacy.

Un problema riemerso in tutta la sua dirompente attualità in questa "America 2020" lacerata, sfibrata e mai così divisa e rancorosa. L'una contro l'altra.
La drammatica pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che portare alla luce quanto, la comunità afroamericana sia stata colpita dal tasso di mortalità da questo virus. Il lockdown  - unico modo per contenere i contagi - ha condotto il paese nella disperazione sociale.
Ma la comunità afroamericana non aveva certo bisogno di toccare con mano l'arrivo della pandemia per avere l'ennesima certezza di una acclamata disuguaglianza sociale che ha radici antiche e lontane nel tempo, quel tempo che molti, qui, negli Stati Uniti sognano di poter riportare a galla.
A nessuno certamente sarà sfuggito né durante la campagna elettorale per le Presidenziali 2016 né tanto meno, nel proclama di insediamento di Trump quell'inneggiare al "Great America Again", laddove, "again" è inteso ancora con quel "tratto razzista" che i bianchi del Sud degli Stati Uniti mettevano in atto grazie alla manovalanza del Ku Klux Klaan.

Questo è necessario ricordarlo per comprendere da dove arrivi tutta la narrazione biliosa e rancorosa di questo presidente quando, non più tardi di ieri, alle sette della sera (ora di Washington), #TheDonald ha definitivamente gettato la maschera, in una delle sue uscite più spericolate e pericolose.

"Si deve usare la forza per fermare i rivoltosi. Si deve sparare dopo che arrivano i saccheggi. Se le cose non cambiano schiero la polizia militare".

Una drammatica "chiamata alle armi" precettando l'esercito per fare in modo da giustificare la narrazione da "guerra civile" nel cuore d'America.

Queste parole del presidente hanno fatto da sfondo alla settima notte di rivolta consecutiva della comunità afroamericana (ma non solo) e può segnare uno spartiacque che può portare in ogni direzione. Appare ormai chiaro che la tattica di Trump non è improntata alla riappacificazione nazionale ma soltanto, alla tutele del suo elettorato.

Eppure sarà importante non cadere in questa trappola: Trump, in quanto presidente degli Stati Uniti dovrà capire - da questo momento in avanti - che non si può stare alla Casa Bianca ed "essere il presidente di una sola parte".

Le rivolte divampate in tutte le città americane stanno mandando un segnale preciso: è arrivato il momento di risolvere l'odiosa "questione razziale" in seno alle forze dell'ordine. Malgrado Trump. Ma la strada sarà lunga e difficile: le parole del tutto irresponsabili di #TheDonald sono un pericoloso alibi per la stessa polizia americana come purtroppo stiamo vedendo da una settimana.

-La denuncia di Amnesty International USA

"La polizia USA sta venendo meno ai propri obblighi ai sensi del diritto internazionale di rispettare il diritto alla protesta pacifica, aggravando una situazione già tesa e mettendo in pericolo la vita dei manifestanti".

Mentre il presidente parlava nel tardo pomeriggio americano, i manifestanti si trovavano fuori dalla Casa Bianca e venivano caricati brutalmente, anche con gli agenti a cavallo - che rimando alle battaglie e alle lotte del movimento guidato allora da Martin Luther King -, sui social network, per tutta la notte italiana sono circolati video, post e messaggi drammatici: gli agenti, hanno immediatamente messo in atto le parole presidenziali: usando ancora di più la repressione e, dato che qui, a Washington - come in altre 45 città -  è entrato in vigore il coprifuoco; si sono viste scene da "paese totalitario", rastrellamenti casa per casa e, in alcuni casi persino l'uso sconsiderato dei gas lacrimogeni indirizzati nelle abitazioni.

-Conclusioni

Una settimana fa George Floyd veniva assassinato dagli agenti di Minneapolis: questa assurda "guerra razziale" ingaggiata dalla polizia americana deve essere estirpata: la strada maestra è quella di riformare per sempre e in modo radicale la preparazione degli agenti: bisognerà che qualcuno insegni ai poliziotti americani che i cittadini neri non sono il "male assoluto" né tanto meno il "nemico"; bisognerà insegnare agli agenti delle forze dell'ordine che i cittadini afroamericani hanno il diritto di poter stare in strada e camminare semplicemente (come tutti gli altri) senza rischiare la vita; bisognerà far capire agli uomini in divisa  che le generazioni afroamericane non possono continuare a vivere nella paura di non riveder rientrare i loro fratelli, mariti e padri e madri solo per il colore della pelle.
Non si può più rimandare l'appuntamento con la storia perché la "Vita dei Neri Vale".
(Fonte.:theatlantic;nyt)
Bob Fabiani
Link
-www.theatlantic.com
-www.nytimes.com      

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